Disegni

(...) Molti, infiniti disegni, tracciati in fretta sul dorso di una busta, su eleganti piccoli album, su taccuini calendari, carta da lettere del Senato. Erano volti, oggetti, paesaggi, giudizi morali e politici, fissati con la precisione, la grazia, lo struggimento di un viaggiatore avido, incalzato dal tempo, spinto infaticabilmente a ripartire rinviando a dopo l'ordinare, l'approfondire, il trarre conclusioni (...)
Giulio Bollati

(...) Usava per lo più matite Caran d'Ache, dall'esterno giallo e leggerissime nel tratto. Generalmente ridotte a un mozzicone. Mi sono sempre domandata cosa faceva con le matite nuove! Da questi "disegnini", come li chiamavamo in famiglia, si capisce come la natura, i fiori, i piccoli animali che animavano le sue giornate legate al tavolino di lavoro, erano una parte importante della sua vita, qualcosa di cui non parlava, ma che assaporava ogni giorno. Le caricature che nei tratti semplici talvolta colgono davvero l'essenza di una persona, mi ricordano il suo sorriso divertito, quel guizzo biricchino che me lo rendeva caro.
Eravamo bambini insieme e ce la ridevamo sotto i baffi!
Grazie per aver dedicato questa giornata e preziose ore del vostro tempo ai "disegnini"!
Mi auguro che vi divertiate un po' anche voi!
Patrizia Antonicelli

Non saprei dire se i disegni di Franco Antonicelli, il professore Franco Antonicelli, quei foglietti di carta perlopiù di piccolo formato, i paesaggi, i ritratti, i fiori, spesso con l'indicazione minuziosa del luogo e della data, siano attività figurativa, come scrisse il suo amico Massimo Mila, tanto da trovar posto accanto ai disegni di Goethe e a quelli di Victor Hugo, come indizio di quella vocazione seconda che a volte accompagna le doti letterarie. O se i ritratti, quelli senatorii composti durante le sedute di Palazzo Madama magari accanto a una poesia, e quelli di una vena più intimistica, raccolti e conservati grazie alle cure e diciamo pure alla caparbietà della moglie Renata Germano e della figlia Patrizia, oltre che di Carlotta Cernigliaro, siano un capitolo della grande opera globale che Antonicelli costruì nel tempo, nello straripante disordine evidente anche nelle fotografie delle sue case, nella varietà di testi scritti, pubblicati e inediti, nella sterminata ricchezza di documenti, collezioni, progetti e cataloghi e diari. Una paziente ricognizione di tutta la memoria del mondo.

Sceglierei la seconda ipotesi, l'opera globale, perché serve a capire meglio che cosa è successo e a immaginare qualche scorcio di futuro. Alla morte di Antonicelli, le carte, per la ricchezza, la vastità e la stessa mole, atterrirono assessori, sindaci, studiosi e familiari. Renata, con determinazione pari al coraggio, cercò di mantenere unito il corpus, affidandolo generosamente prima alla Biblioteca dei Portuali di Livorno, poi, organizzando il trasferimento dei faldoni di manoscritti al fondo Maria Corti dell'Università di Pavia, e dedicando quasi tutte le energie e gli anni che rimanevano alla difesa di quel patrimonio di documenti e di moralità. Ora nella ex Villa Germano vengono accolte e valorizzate le tracce di un'opera che ha saputo comunicare arte e cultura attraverso le due dimensioni ugualmente decisive del letterato e dell'uomo politico unite nella funzione dell'educatore. Professore Antonicelli, si diceva all'inizio: così gli si rivolgevano gli amici più giovani, dicendo la parola che, lo notava Mila, solo ai somari suona meschina. Echi di una stagione conclusa? Può darsi. Teneri ricordi? Sicuramente. Ma forse qualcosa di più.
Adalberto Chiesa